Dopo la “primavera” della sentenza 23 gennaio 2014 n. 1.361 è arrivata la “gelata” delle Sezioni Unite, secondo cui il danno da “perdita della vita” derivato istantaneamento o entro un brevissimo lasso di tempo da lesioni conseguenti un sinistro stradale non è risarcibile. La motivazione è sempre quella, paradossale, già affermata nel 1925: “se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato sono in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone appunto e necessariamentoe l’esistenza di un subietto di diritto“. A noi sembra inaccettabile la semplificazione motivazionale della Suprema Corte, laddove appiattisce tutta la questione nei termini seguenti: “infatti, pretendere che la tutela risarcitoria sia data “anche” al defunto corrispone, a ben vedere, solo al contingente obiettivo di fare conseguire più denaro ai congiunti”. In questo passo la Corte confonde l’obiettivo con l’effetto, cedendo vergognosamente alla retorica assicurativa degli “avidi congiunti”. Se è evidente, infatti, che l’effetto finale della correzione di rotta richiesta dai danneggiati è quello di compensare gli eredi, dall’altro l’obiettivom perseguito consiste nel rassicurare i singoli e la collettività sulla importanza del bene vita, essendo ormai inaccettabile socialmente l’idea che la distruzione della vita non comporti per chi la perde un ristoro, che inteso a risarcire in primo luogo il defunto, che ne trarrà soddisfazione postuma trasmettendo il patrimonio agli eredi, secondo le modalità legittime o testamentarie previste dalla legge o prescelte dal defunto. Tutto come prima, quindi, e nessuna sorpresa. Viviamo infatti in tempi in cui non solo non trova alcuno spazio l’esigenza di estendere le tutele, ma l’agenda pretende invece una loro spietata compressione. Non ci resta che sperare che passi la nottata. La sentenza: